SINTOMI E PSICODRAMMA ANALITICO INTEGRATO
Gruppi di Supervisione e Formazione Continua
per psicoterapeuti e psicologi
Direttore: Alfredo Rapaggi
I nostri gruppi di supervisione sono nati negli anni ’80
sono cresciuti e si sono poi sviluppati insieme
alla scuola di specializzazione in psicoterapia,
riconosciuta ufficialmente dal MIUR nel 2002.
Hanno una particolare efficacia perché si basano
sullo psicodramma analitico integrato.
Rispetto alle più comuni supervisioni verbali
si caratterizzano essenzialmente per tre dettagli:
°°° perché viene data particolare importanza al ri-transfert,
(quello che prima chiamavamo “contro transfert”)
quindi ai sentimenti e ai pensieri dell’analista nei confronti del paziente;
°°°° perché viene tenuto in considerazione il linguaggio non verbale;
°°°°°perché possono venire utilizzate le più efficai tecniche dello psicodramma,
che presentano i fatti da varie angolazioni, come sulla scena
e permettono una più valida elaborazione.
Il senso della supervisione
Quando e Perché
Ci sono due momenti in cui la supervisione è indispensabile:
-
all’inizio dell’esercizio della professione, quando si deve passare dalla teoria alla pratica. Non è certo sufficiente aver fatto tirocinio, anche se è lo si fosse fatto affrontando casi clinici.
C’è un motivo prevalente ed è la differenza tra la modalità del setting effettuato nell’istituzione pubblica e quella possibile nello studio privato. E’ una differenza molto importante che va sperimentata prima di essere compresa.
-
Dopo qualche anno, quando si è ormai convinti di sapere e di sapersela cavare da soli.
Perché.
In quel momento il rischio più grande è quello di coprire se stessi, di difendersi inconsciamente dai sentimenti che si hanno nei confronti di un certo paziente.
E’ importante a quel punto chiedere l’analisi del contro transfert.
Di solito si fanno scoperte molto interessanti che facilitano una crescita professionale importante.
dal blog: www.psicanalista.info
Quando può dirsi terminata la psicoterapia (o la psicoanalisi)?
Consideriamo le due grandi scuole di psicoterapia: prima la psicoterapia di tipo psicoanalitico, o la psicoanalisi, poi quelle di tipo cognitivo comportamentale.
Il temine della psicoterapia di tipo psicoanalitico (e della psicoanalisi) è stabilito quando il paziente ha raggiunto il suo migliore equilibrio in relazione a quello di partenza.
Teoricamente si dovrebbe dire “quando una persona ha raggiunto l’equilibrio”.Ma sappiamo che la perfezione non è una caratteristica dell’essere umano, dunque dobbiamo ottenere il meglio, avendo come metro di paragone il disequilibrio verificato al momento della psicodiagnosi.
La prima complicazione sta nella percezione del paziente, che molto difficilmente riesce ad essere obiettivo sulle proprie condizioni psichiche.
Infatti la persona viene in psicoterapia perché in quel momento della sua vita non dispone di un buon equilibrio e questo gli fa vedere le situazioni confuse.
Non sa distinguere bene tra fantasia e realtà, tra passato e presente, tra un ruolo naturale (per esempio genitore) ed uno sostitutivo o simbolico (per esempio insegnante, analista, eccetera)
Difficilmente lo ammette ma lo rivela in diversi altri modi, automatici e inconsci, sia fisici che psichici. Potrebbe negare, ma non può nascondere la sua sofferenza.
In pratica, la persona ottiene la possibilità di essere obiettiva nel valutare il proprio equilibrio, solo mentre si avvicina allo stesso equilibrio che aveva prima che sorgessero i suoi conflitti.
Cioè, man mano che si avvicina al termine della psicoterapia/psicoanalisi porta alla sua coscienza il suo vero stato psichico.
Quando inizia porta con sè il conflitto tra fiducia cosciente e sfiducia inconscia o preconscia. La prima è sempre dichiarata con convinzione, la seconda è negata.
La prima appartiene al desiderio cosciente di star bene, la seconda si riferisce alle sofferenze subite negli anni della formazione della personalità, e alla distorsione caratteriale conseguente.
Se lo psicoterapeuta è di scuola psicoanalitica, sa che il primo passo è proprio quello di ottenere una maggior fiducia dal paziente, attraverso il transfert e le altre tecniche proprie della psicoanalisi.
E ha come suo obiettivo finale quello che ho scritto all’inizio: attraverso i vari passaggi di regressione e di ritorno alla realtà, trovare l’equilibrio più vicino possibile a quello che il paziente aveva prima di subire le distorsioni dell’ambiente.
Se la psicoterapia è di tipo comportamentale, o cognitivo comportamentale, mira semplicemente a tamponare l’influenza del sintomo, tralasciando l’importanza dell’inconscio.
In questo caso la psicoterapia si dice terminata quando il paziente ritiene che il sintomo sia scomparso o comunque ridotto al minimo.
“TI AMO PERCHE’ TI ODIO”
“Ti Amo perché sei dolce”,“Ti amo perché sei bellissima”, “Ti amo perché ci sei sempre per me”, “Ti amo perché so che sarai un bravo padre”, “… una mammina deliziosa”. “Ti amo perché mi fai ridere”, “Perché mi fai sentire le farfalline nello stomaco, perché hai un bel carattere, perché mi fai sangue, perché mi capisci, perché mi sento sicura con te, perché sei bello e ricco”. Eccetera.
Le motivazioni dette con la voce della coscienza, o cercate con la speranza che si tratti di assolute verità, sono tantissime, e chi le dice non vuole che se ne dubiti.
Ma sul letto dello psicoanalista le sensazioni possono cambiare, alla ricerca di una migliore congruenza tra le parole e i fatti. Chi dice di amare deve poi dimostrarlo, chi ascolta quelle parole si aspetta che si traducano in momenti molto belli e molto frequenti.
Solo che non sempre succede.
Nel setting psicoanalitico l’amore viene conosciuto fin dalla sua origine psichica e fisica. Anche e soprattutto quando si evolve e involve, specchiandosi nell’odio e creando le nevrosi.
E’ per questo che il titolo del convegno annuale di Mosaico Psicologie è:
“TI AMO PERCHE’ TI ODIO”.
Messa così sembra solo un gioco di parole, ma quando una mia collega ha voluto ripeterla ha detto “Ti odio perché ti amo”.
Sembrava la stessa frase solo riferita al contrario.
Non è vero però.
Si tratta di due condizioni opposte.
Intanto sono opposti i due obiettivi: il primo è “ti amo” il secondo è “ti odio”. E di conseguenza lo sono i due percorsi.
Non voglio anticipare le argomentazioni che si svilupperanno durante il convegno, con il supporto di esempi affrontati in sedute, perciò mi fermo qua e lascio che i futuri partecipanti inizino a rifletterci.
Si tratta di mettere sotto l’attenta lente dell’analisi teorica alcuni rapporti di coppia e considerare varie ipotesi.
Posso accennare ai bisogni primari, alla conservazione, all’angoscia da distacco, alla fissazione e regressione, alla pulsione sessuale, alle censure morali, ai meccanismi che cercano di difendere l’equilibrio psichico necessario.
Posso anche far presente che il tipo di psicoterapia dovrebbe cambiare nell’un caso e nell’altro.
Ma mi devo fermare perché il prossimo convegno durerà solo una mattinata e no possono essere trattati troppi argomenti.
Per fortuna avrete la possibilità di scrivere sia sul sito della scuola, sia sul mio blog, www.psicanlista.info, e sia su psicodramma.org.
Alfredo Rapaggi
Contatti:
picomosaico@outlook.it
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